martedì 29 dicembre 2015

06 Scuole e scuole


Guai a focalizzarsi soltanto sugli strumenti», avverte la professoressa Dianora Bardi, che insegna italiano e latino in un Liceo e si occupa di formazione su incarico del Ministero dell'Istruzioni. “Prima s’è fatto un gran parlare delle tecnologie, ora si parla di arredi 3.0. Il punto però è un altro:bisogna aiutare i docenti a trovare nuovi linguaggi con cui comunicare coi giovani, ai quali noi insegnanti dobbiamo rivolgerci con umiltà, scendendo dalla cattedra. Dobbiamo offrire modalità e occasioni che permettano loro di personalizzare l’apprendimento, di esprimersi liberamente, di gestire la conoscenza. Nella mia classe ho abolito persino il lavoro di gruppo perché ho capito, osservando i ragazzi e parlando con loro, che anche il lavoro di gruppo e i banchi a isola vengono vissuti come un’ulteriore suddivisione del lavoro. Allora ho cominciato a smantellare i gruppi e a mettere da parte anche i banchi: i ragazzi si sistemano come vogliono all’interno della classe, anche seduti per terra, poco importa. Io assegno loro un lavoro, do alcune indicazioni e sto lì con loro. Dopo un’ora di lavoro autonomo, facciamo il punto tutti assieme.” Di quanta tecnologia ha parlato in questo esempio la prof Bardi? Quanti soldi, quanti investimenti, quanti pc e quanti tablet servono per fare ciò che si propone in questo estratto? Praticamente zero. Certo, tutto sarà ancora più cool quando i ragazzi potranno aggiungere le meraviglie della web conference e dell’ipertesto a questo contesto, ma investimenti – veri! – nelle strutture. Scuole e scuole, insegnanti e insegnanti.
Arturo Marcello Allega su educationduepuntozero.it: “…(nella nuova scuola digitale) la valutazione non è più un’azione uno-a-uno, dell’uno verso i molti. La valutazione del percorso e del risultato è frutto di una collaborazione di tutti e a tutti visibile. La diversità nasce dalla scelta che si evolve autonomamente e liberamente lungo coordinate che definiscono la “persona competente” con unicità intrinsecamente rappresentate nel (e dal) suo percorso. Quindi la valutazione può essere collegiale con una sorta di assegnazioni al merito di ognuno fatta da una valutazione di percorso e di risultato, in parte generata da un “indice di gradimento” e dall’altra da un “indice di apprendimento disciplinare”. La valutazione disciplinare del docente si potrà infine confrontare con la valutazione del cloud.” Di nuovo provoco: servono teconologie avanzatissime per far questo? Non si parla di presupposti già oggi richiesti a un docente? E se non è così, dandogli un tablet in mano e una LIM in classe questi si trasformano? Nelle mie classi, da sempre, discuto i voti con gli alunni, chiedo suggerimenti e proposte, e infine valutiamo e decidiamo tutti insieme (ovviamente sotto la mia guida). Senza computer.
La Scuola non può tutta affannarsi a mediare contenuti alti attraverso media bassi. Che si confini il dibattito dove si elabora la pedagogia, e che si pensi invece a esternare in pubblico che – almeno alla Scuola italiana – servono muri che non crollino, stipendi meno ridicoli, revisione dei programmi ministeriali, ampliamento dell’offerta pomeridiana, perché questi sono i temi che miglioreranno davvero la Scuola, e poi in seguito saranno necessari semplicemente buoni maestri. Maestri che evitino gli eccessi di entrambe le vie, quella che vuole preservare la tradizione umanista e Scolastica, e quella dell’insegnante super-moderno, che spinge la figura di insegante in un campo quasi meramente tecnico. Maestri – anche - di un nuovo campo disciplinare, una nuova Educazione (civica) Digitale (al momento siamo sprovvisti di definizioni davvero nuove e stabili di “società digitali”, figuriamoci quanto siamo lontani da una Costituzione del Mondo Digitale che possa costituire il corpus di studio per una simile disciplina). Quindi, nel frattempo, si lasci separata l’istruzione dalla produzione, si superi questa incestuosa miscela depurandone i singoli elementi, e magari – sarà mai possibile? – una più serena, sana e affidabile Scuola saprà rispondere quando necessario anche ai richiami isterici delle aziende in crisi e delle società allo sbando.

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