Parlar
male della Scuola Italiana è davvero troppo facile e poco
divertente. Piuttosto, in un momento così grave per la Scuola e per
la Società intera, è un piacere scoprire che all’interno del
corpo insegnante, ma anche fra i funzionari e i legislatori, il
dibattito sulle soluzioni ai problemi è molto fitto, le posizioni
sono – come sempre in Italia – molto lontane e molto energiche, e
anche la sociologia della cosiddetta media
education
ha in Italia fior di studiosi e di appassionati. Fra i docenti per
fortuna aumentano – lentamente! - i giovani, e così fra tante
chiacchiere altisonanti, molti docenti fanno silenziosamente e
faticosamente i loro gruppi Whatsapp con le loro classi, i blog dove
postare gli esercizi, i gruppi Facebook su temi didattici e tecnici.
Ci sono eccellenti esperienze on-line sia di singoli insegnanti che
di gruppi; l’ultimo aggiornamento che mi pare utile segnalare è
che si sta organizzando una “versione” italiana di EdModo.com,
l’equivalente di Facebook per la scuola (chi arriverà prima al
dominio della prossima e-school?, l’Open Source e gli insegnanti
auto-organizzati oppure gli enormi Google & C. che già stanno
regalando software alle scuole affinché si integrino nel gran
calderone?). E
anche
in Italia ci sono tanti
accesissimi
sostenitori della spinta tecnologica alla didattica; scelgo fra
questi di nuovo il prof. Paolo Maria Ferri, perché credo che in
poche parole ci dia modo di capire cosa c’è in questa rivoluzione
di tanto eccitante ed abbagliante da abdicare a qualsiasi forma di
umanesimo nel nome di una - quasi marinettiana - fiducia sconfinata
nel futuro. Al contempo, le sue cristalline convinzioni mi danno modo
di mettere più in ordine tutte le mie obiezioni a riguardo!
Uno
dei temi preferiti dai “futuristi” è l’eterogeneità che
esisterebbe fra il mondo scolastico e il mondo in cui il ragazzo si
trova effettivamente a vivere: “Il
bambino (…) per andare a scuola, compie un viaggio nel tempo. Che è
un po’ quello che è successo a noi quando abbiamo dovuto
traghettare i nostri saperi e le nostre conoscenze dalla carta
all’ambiente digitale. Questo viaggio del bambino è chiaramente un
viaggio nel tempo.”
Benissimo:
dunque come può un “immigrato” che ha avuto problemi a passare
dalla carta al digitale aggiornarsi
al
punto tale da tenere il passo con gli scatenati e digitalissimi
allievi? Non sarà che tutto questo gran problema di adattamento
alle nuove didattiche e ai nuovi giovani sia in definitiva solo un
problema di questa
generazione
di docenti, e quindi – in definitiva – assolutamente trascurabile
rispetto al fatto che fra pochi anni il problema non esisterà più,
e che invece
ne
esistono – di problemi – di
molto
più grandi e urgenti?
Ferri:
“Noi abbiamo celebrato l’altro giorno il crollo del Muro di
Berlino. Beh! Grossomodo è come se mio figlio dal 2009 si recasse a
Berlino Est nel 1989. Nel senso che l’isomorfia tra i sistemi di
rappresentazione del mondo col quale lui è a contatto, tra i sistemi
di rappresentazione della conoscenza che mio figlio esperisce
quotidianamente a casa non c’è più quando lui si reca in un’aula.
Questo ha delle conseguenze rilevantissime”.
Assolutamente
vero esimio professore ma, obietto, le conseguenze a cui si riferisce
sono tutte positive per l’allievo! Capirei l’obiezione se si
parlasse di una scuola Steineriana a Scampia, o di una scuola
cattolica in Cina, ma mi duole constatare che – soprattutto
nell’attuale frangente storico e socio-culturale in cui si trova
l’Italia – è assolutamente positivo
il
fatto che la Scuola possa rappresentare oggi qualcosa di diverso
dall’intricatissimo
mondo esterno, e perché no anche di protettivo
ma
nel senso sociale del termine, e non didattico (“semplifichiamo”,
“coloriamo”, “illuminiamo”, “usiamo le tecniche dello
spettacolo, del videogame…”). Viva invece
LA
Scuola diversa, onorata e onorabile, “strana” perché latrice di
tutto ciò che fuori
si
perde nella confusione! Viva una Scuola che fa trovare i ragazzi di
fronte a qualcosa di strano,
che forse non avranno mai più come l’oralità, il contatto fisico,
la condivisione dello spazio (reale!), l’ammirazione e il rispetto
non
per
l'insegnante
per quello che sa
e
per quello che rappresenta!
Ancora
Ferri: “Quello che dobbiamo fare è cominciare a tenere conto del
fatto che per quelli che possiamo definire oggi “nativi digitali”
alcuni strumenti che noi usiamo nel nostro lavoro, come la lezione
frontale, stanno perdendo rilievo, perché l’apprendimento per
assorbimento nei nativi digitali è qualcosa di molto meno consueto
di quanto non lo sia l’apprendimento per ricerca, esplorazione e
gioco.” Vero, ma cosa c’entra tutto ciò con la tecnologia? La
Didattica della Ricerca esiste da decenni, e sappiamo benissimo che
ogni alunno è un mondo nel quale l’insegnante deve giocoforza
entrare e accomodarsi senza far troppo rumore, ma per far questo
serviva la Rivoluzione Digitale?
Sarò
deviato dalla mia materia, la matematica, ma la cosiddetta
laboratorialità, la possibilità di applicare i ragazzi su problemi
reali e farli lavorare secondo le linee del Recupero del Significato
(vedi) o dell’approccio Affettivo (vedi), non è nata con il
computer, né ne ha bisogno per svilupparsi. Si può lavorare tutti
insieme con lavagna, penna e carta intorno a quesiti e operazioni
(anche con il computer) che sviluppino le loro capacità di Problem
Solving. Nessun dubbio sulle possibilità di farlo in modo
iper-migliore con le NT, ma intanto gli insegnanti sanno farlo?
Intendo dire con carta e penna: sono capaci di instaurare un rapporto
affettivo che supporti il dialogo e la ricerca collettiva? Hanno i
tempi, i modi, l’autonomia per svolgere un programma in questo
modo, o devono piuttosto districarsi fra ore di 45 minuti, strutture
fatiscenti e realtà sociali al limite del sopportabile?
Una
sconclusionata e disordinata “corsa al tablet”, questa è l’idea
italiana della Scuola 2.0, esempio classico il Registro Elettronico.
Siamo talmente indietro rispetto al resto del mondo occidentale, che
già nei primi paesi che affrontarono in modo più razionale e
intelligente le nuove sfide si alzano voci critiche, si modificano
alcuni aspetti della didattica 2.0 ritenuti troppo radicali, si
reinseriscono metodologie e tipologie di materiali didattici troppo
velocemente accantonate, si lavora sugli arredi, sulla formazione dei
docenti, sull’idea stessa di scuola. Ci si è accorti che questa
corsa sfrenata rischia di proporre ai giovani solo identità
culturali in stile talent,
sempre con quel “You” davanti e mai con “We”, o “Us”.
Nelle scuole elementari norvegesi insegneranno agli scolari secondo
le metodologie dei libri di testo russi, che si sono rivelate le
migliori dopo una ricerca dell'Università norvegese di Stavanger
sugli studenti che hanno studiato secondo la metodica russa. Secondo
la ricerca la metodica russa si distingue per diversi compiti da
quella norvegese e contribuisce ad un migliore sviluppo delle
capacità di osservazione e analisi, utilizzando forme grafiche e
tipologie di contenuti che sui piccoli allievi hanno infinitamente
più successo di qualunque touchscreen.
Gli
USA hanno invece
scoperto
la didattica della matematica delle scuole di Singapore, che lascia
molto più spazio al ragionamento e alla deduzione. Senza tablet.
Proprio dagli USA è tornato l’insegnante Corrado Poli, e da quanto
è rimasto sconvolto ci ha scritto un libro, Rivoluzione
a scuola.
Come
rendere felici e migliori insegnanti e allievi.
Le
differenze e le criticità che stigmatizza Poli non hanno niente a
che vedere con la tecnologia o con l’informatica, bensì “con
la
rassegnazione
dei
colleghi docenti in fila per la firma di un contratto da precari e il
degrado
dell’edificio-capannone
dove tutti si trovano ammassati, in un’afosa mattina di fine agosto
(…) L’utilizzo di
edifici
più
accoglienti e sicuri, l’abolizione delleclassi
fisse,
la riduzione dell’orario di lezione frontale e la proposta di un
numero maggiore di
attività
extra-scolastiche
(…)
una professione
che elevi l’insegnante da strumento
audiovisivo
a persona
che porta qualcosa di sé nell’attività che svolge”.
Come afferma il
professor Gaetano
Domenici, Università
di Roma Tre:
“la crescita della complessità delle ‘società tecnologicamente
avanzate’ – o ‘dell’informazione’ – ha causato una
diminuzione del grado di stabilità e d’impiego dei saperi
trasmessi dalla scuola, ed ha accentuato il fenomeno di spaesamento
che colpisce soprattutto chi è privo di quella cultura di base ormai
necessaria per comprendere e partecipare consapevolmente al governo
del cambiamento, sempre più rapido e continuo”.
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