martedì 29 dicembre 2015

07 La situazione italiana


Parlar male della Scuola Italiana è davvero troppo facile e poco divertente. Piuttosto, in un momento così grave per la Scuola e per la Società intera, è un piacere scoprire che all’interno del corpo insegnante, ma anche fra i funzionari e i legislatori, il dibattito sulle soluzioni ai problemi è molto fitto, le posizioni sono – come sempre in Italia – molto lontane e molto energiche, e anche la sociologia della cosiddetta media education ha in Italia fior di studiosi e di appassionati. Fra i docenti per fortuna aumentano – lentamente! - i giovani, e così fra tante chiacchiere altisonanti, molti docenti fanno silenziosamente e faticosamente i loro gruppi Whatsapp con le loro classi, i blog dove postare gli esercizi, i gruppi Facebook su temi didattici e tecnici. Ci sono eccellenti esperienze on-line sia di singoli insegnanti che di gruppi; l’ultimo aggiornamento che mi pare utile segnalare è che si sta organizzando una “versione” italiana di EdModo.com, l’equivalente di Facebook per la scuola (chi arriverà prima al dominio della prossima e-school?, l’Open Source e gli insegnanti auto-organizzati oppure gli enormi Google & C. che già stanno regalando software alle scuole affinché si integrino nel gran calderone?). E anche in Italia ci sono tanti accesissimi sostenitori della spinta tecnologica alla didattica; scelgo fra questi di nuovo il prof. Paolo Maria Ferri, perché credo che in poche parole ci dia modo di capire cosa c’è in questa rivoluzione di tanto eccitante ed abbagliante da abdicare a qualsiasi forma di umanesimo nel nome di una - quasi marinettiana - fiducia sconfinata nel futuro. Al contempo, le sue cristalline convinzioni mi danno modo di mettere più in ordine tutte le mie obiezioni a riguardo!


Uno dei temi preferiti dai “futuristi” è l’eterogeneità che esisterebbe fra il mondo scolastico e il mondo in cui il ragazzo si trova effettivamente a vivere: “Il bambino (…) per andare a scuola, compie un viaggio nel tempo. Che è un po’ quello che è successo a noi quando abbiamo dovuto traghettare i nostri saperi e le nostre conoscenze dalla carta all’ambiente digitale. Questo viaggio del bambino è chiaramente un viaggio nel tempo.”
Benissimo: dunque come può un “immigrato” che ha avuto problemi a passare dalla carta al digitale aggiornarsi al punto tale da tenere il passo con gli scatenati e digitalissimi allievi? Non sarà che tutto questo gran problema di adattamento alle nuove didattiche e ai nuovi giovani sia in definitiva solo un problema di questa generazione di docenti, e quindi – in definitiva – assolutamente trascurabile rispetto al fatto che fra pochi anni il problema non esisterà più, e che invece ne esistono – di problemi – di molto più grandi e urgenti?


Ferri: “Noi abbiamo celebrato l’altro giorno il crollo del Muro di Berlino. Beh! Grossomodo è come se mio figlio dal 2009 si recasse a Berlino Est nel 1989. Nel senso che l’isomorfia tra i sistemi di rappresentazione del mondo col quale lui è a contatto, tra i sistemi di rappresentazione della conoscenza che mio figlio esperisce quotidianamente a casa non c’è più quando lui si reca in un’aula. Questo ha delle conseguenze rilevantissime”.
Assolutamente vero esimio professore ma, obietto, le conseguenze a cui si riferisce sono tutte positive per l’allievo! Capirei l’obiezione se si parlasse di una scuola Steineriana a Scampia, o di una scuola cattolica in Cina, ma mi duole constatare che – soprattutto nell’attuale frangente storico e socio-culturale in cui si trova l’Italia – è assolutamente positivo il fatto che la Scuola possa rappresentare oggi qualcosa di diverso dall’intricatissimo mondo esterno, e perché no anche di protettivo ma nel senso sociale del termine, e non didattico (“semplifichiamo”, “coloriamo”, “illuminiamo”, “usiamo le tecniche dello spettacolo, del videogame…”). Viva invece LA Scuola diversa, onorata e onorabile, “strana” perché latrice di tutto ciò che fuori si perde nella confusione! Viva una Scuola che fa trovare i ragazzi di fronte a qualcosa di strano, che forse non avranno mai più come l’oralità, il contatto fisico, la condivisione dello spazio (reale!), l’ammirazione e il rispetto non per l'insegnante per quello che sa e per quello che rappresenta!


Ancora Ferri: “Quello che dobbiamo fare è cominciare a tenere conto del fatto che per quelli che possiamo definire oggi “nativi digitali” alcuni strumenti che noi usiamo nel nostro lavoro, come la lezione frontale, stanno perdendo rilievo, perché l’apprendimento per assorbimento nei nativi digitali è qualcosa di molto meno consueto di quanto non lo sia l’apprendimento per ricerca, esplorazione e gioco.” Vero, ma cosa c’entra tutto ciò con la tecnologia? La Didattica della Ricerca esiste da decenni, e sappiamo benissimo che ogni alunno è un mondo nel quale l’insegnante deve giocoforza entrare e accomodarsi senza far troppo rumore, ma per far questo serviva la Rivoluzione Digitale?


Sarò deviato dalla mia materia, la matematica, ma la cosiddetta laboratorialità, la possibilità di applicare i ragazzi su problemi reali e farli lavorare secondo le linee del Recupero del Significato (vedi) o dell’approccio Affettivo (vedi), non è nata con il computer, né ne ha bisogno per svilupparsi. Si può lavorare tutti insieme con lavagna, penna e carta intorno a quesiti e operazioni (anche con il computer) che sviluppino le loro capacità di Problem Solving. Nessun dubbio sulle possibilità di farlo in modo iper-migliore con le NT, ma intanto gli insegnanti sanno farlo? Intendo dire con carta e penna: sono capaci di instaurare un rapporto affettivo che supporti il dialogo e la ricerca collettiva? Hanno i tempi, i modi, l’autonomia per svolgere un programma in questo modo, o devono piuttosto districarsi fra ore di 45 minuti, strutture fatiscenti e realtà sociali al limite del sopportabile?


Una sconclusionata e disordinata “corsa al tablet”, questa è l’idea italiana della Scuola 2.0, esempio classico il Registro Elettronico. Siamo talmente indietro rispetto al resto del mondo occidentale, che già nei primi paesi che affrontarono in modo più razionale e intelligente le nuove sfide si alzano voci critiche, si modificano alcuni aspetti della didattica 2.0 ritenuti troppo radicali, si reinseriscono metodologie e tipologie di materiali didattici troppo velocemente accantonate, si lavora sugli arredi, sulla formazione dei docenti, sull’idea stessa di scuola. Ci si è accorti che questa corsa sfrenata rischia di proporre ai giovani solo identità culturali in stile talent, sempre con quel “You” davanti e mai con “We”, o “Us”. Nelle scuole elementari norvegesi insegneranno agli scolari secondo le metodologie dei libri di testo russi, che si sono rivelate le migliori dopo una ricerca dell'Università norvegese di Stavanger sugli studenti che hanno studiato secondo la metodica russa. Secondo la ricerca la metodica russa si distingue per diversi compiti da quella norvegese e contribuisce ad un migliore sviluppo delle capacità di osservazione e analisi, utilizzando forme grafiche e tipologie di contenuti che sui piccoli allievi hanno infinitamente più successo di qualunque touchscreen.
Gli USA hanno invece scoperto la didattica della matematica delle scuole di Singapore, che lascia molto più spazio al ragionamento e alla deduzione. Senza tablet. Proprio dagli USA è tornato l’insegnante Corrado Poli, e da quanto è rimasto sconvolto ci ha scritto un libro, Rivoluzione a scuola. Come rendere felici e migliori insegnanti e allievi. Le differenze e le criticità che stigmatizza Poli non hanno niente a che vedere con la tecnologia o con l’informatica, bensì “con la rassegnazione dei colleghi docenti in fila per la firma di un contratto da precari e il degrado dell’edificio-capannone dove tutti si trovano ammassati, in un’afosa mattina di fine agosto (…) L’utilizzo di edifici più accoglienti e sicuri, l’abolizione delleclassi fisse, la riduzione dell’orario di lezione frontale e la proposta di un numero maggiore di attività extra-scolastiche (…) una professione che elevi l’insegnante da strumento audiovisivo a persona che porta qualcosa di sé nell’attività che svolge”. Come afferma il professor Gaetano Domenici, Università di Roma Tre: “la crescita della complessità delle ‘società tecnologicamente avanzate’ – o ‘dell’informazione’ – ha causato una diminuzione del grado di stabilità e d’impiego dei saperi trasmessi dalla scuola, ed ha accentuato il fenomeno di spaesamento che colpisce soprattutto chi è privo di quella cultura di base ormai necessaria per comprendere e partecipare consapevolmente al governo del cambiamento, sempre più rapido e continuo”.


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