Cosa
succederà? Inutile arrovellarsi, nessuno lo sa. Per questo insisto
che non si debbano creare per forza dei cyber-insegnanti capaci di
tradurre il mondo “arcaico” ai nativi digitali, perché tanto i
nativi esploreranno il mondo a modo loro, anche se – affermo io –
lo faranno meglio se avranno una minima idea della storiografia umana
che li ha preceduti, le arti manuali,
la filosofia, la letteratura, il calcolo e tutto il resto.
Visto
che di scenari fantasmagorici ne abbiamo disponibili a iosa (cito
l’ultimo, la pizza ordinata su internet e trasportata direttamente
nelle tue mani da un drone), e visto che, come ho già
detto,
in Europa siamo molto meno terroristici e diffidenti di quanto lo
siano gli americani riguardo gli inumani sviluppi delle NT, qualche
voce “europea ma ombrosa” la cito volentieri: Donald Sassoon (The
culture of the Europeans from 1800 to the present.
HarperCollins,
2006) dice che “più libertà e più scelta per il consumatore
potrebbe significare che ogni gruppo si concentrerà solo su quello
che preferisce, e sperimenterà meno. Il villaggio globale può
essere balcanizzato”. Marino Sinibaldi: “Che conoscenza genera,
che relazioni crea (la rete)? Non c’è il rischio che l’altro,
nella infinitezza delle possibilità
di raggiungerlo, appaia in realtà distante e astratto, intimamente
estraneo? Questo spiegherebbe il linguaggio dei social network, le
sue fragilità emotive, le tentazioni aggressive”.
E
dunque, che mondo stiamo costruendo per i futuri adulti del 2040? E
che basi stanno essi stesso gettando per creare un mondo più unito e
connesso, dotato di un nuovo senso mondialista, dando nuovo
significato al termine, anzi nuovi significati. Che rete
stanno davvero gettando i nostri ragazzi verso gli altri e verso
l’altro in generale, quando l’unico oggetto, sorgente e obiettivo
di ogni circuito “social” è – invece che un semplice “noi”
– un categorico “io”? Henry Jenkins (Learning
in a participatory culture,
Guerini 2009) trova addirittura undici nuove abilità che
emergerebbero dalla nuova era digitale: Gioco, Simulazione,
Performance, Appropriazione, Multitasking, Conoscenza distribuita,
Intelligenza collettiva, Giudizio, Navigazione Transmedia,
Networking, Negoziazione. Non so perché ma mi continuano a suonare
come sub-categorie della grande madre Produzione, e continuo a
pensare che sia esimio compito della Scuola inglobare queste supposte
nuove abilità proprio in quel percorso di crescita umana che ci ha
portato alle stupefacenze tecnologiche di oggi, delegando loro il
giusto posto in mezzo alle infinite altre abilità e sensibilità
dell’uomo.
Niente
ci dice che il futuro sarà così
buono
con i ragazzi di oggi da
permettere loro
di trovarsi un’oretta la sera per leggere un libro, o per fare una
chiacchierata faccia a faccia con un amico, e tutto mi sembra invece
suggerire di mantenere una natura che sia storicamente nostra (“stay
human”), perché con essa sarà più facile e produttivo
(sic!) affrontare le infinite sfide che il progresso ha ormai
chiaramente in serbo per noi, ivi comprese le squassanti crisi che
continueranno a imperversare negli ipermondi virtuali finanziari
(sottesi ai quali resterà sempre il nostro ipo-mondo materiale dove
la vita reale – mangiare, sopravvivere, curarsi – sbiadirà come
una routine sempre più noiosa).
Quali
speranze? Quelle che derivano dall’incomprimibilità delle giovani
menti, per parafrasare un celebre principio fisico. Quando vedo
ragazzi di 16-18 anni che tendono al vegetarianesimo e si interessano
al mondo vegan (sicuramente un po’ per moda) perché non sopportano
più la fettina di carne messa a tavola ogni sera da una
analogicamente premurosa mamma, penso che la scintilla sia sempre la
stessa: spingersi oltre, allontanarsi dal qui per cercare il lì, e
guardare da lì quello che qui non va. Ripongo molta fiducia in
questo innato senso dell’esplorazione, che di sicuro genererà
gioielli di pensiero e di creatività che oggi non riusciamo neanche
a immaginare; ahimé molta di meno ne ripongo negli schemi
essenzialmente politici
che senza curarsi di altro se non della propria sussistenza lottano
ogni giorno per ingabbiare quell’esplorazione, per dirigere tanta
energia e tanta spinta sempre e solo nella direzione che gli conviene
di più, l’uniformazione del Consumo, la creazione di un
Mondialismo Commerciale, la venerazione del Progresso Industriale.
Buttare
via il giocattolo che non si sa o non si vuole usare, per inseguirne
un altro. Mi sembra questo l’afflato che muove l’isterismo
modernista di questi anni. Potrà
questa rivoluzione risollevare i dati drammatici sulla fruizione di
materiali culturali? Da una ricerca di Eurobarometro del 2013 risulta
che solo il 6% degli italiani ha qualche pratica di uno strumento
musicale, addirittura due punti sotto la media europea, e che
l’80%
degli italiani dichiara di non partecipare ad alcuna attività
culturale, una percentuale superiore per decine di punti a quella di
tutti gli altri Paesi membri a eccezione solo di Ungheria, Romania,
Portogallo e Cipro. Sono questi
i numeri da risistemare, e per farlo non servono particolari
tecnologie o speciali metodi, anzi. E non ho motivo di credere che
una “diversa didattica per ragazzi diversi” possa risollevare
questa incresciosa situazione, anzi temo che l’isolamento, la
parcellizzazione e il “digital divide” saranno i temi portanti
dei prossimi anni, con una ulteriore
semplificazione
generalizzata delle offerte culturali e formative, buone un po’ per
tutti i gusti.
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