martedì 29 dicembre 2015

10 2040: il mondo dei Bimbiminkia


Cosa succederà? Inutile arrovellarsi, nessuno lo sa. Per questo insisto che non si debbano creare per forza dei cyber-insegnanti capaci di tradurre il mondo “arcaico” ai nativi digitali, perché tanto i nativi esploreranno il mondo a modo loro, anche se – affermo io – lo faranno meglio se avranno una minima idea della storiografia umana che li ha preceduti, le arti manuali, la filosofia, la letteratura, il calcolo e tutto il resto.
Visto che di scenari fantasmagorici ne abbiamo disponibili a iosa (cito l’ultimo, la pizza ordinata su internet e trasportata direttamente nelle tue mani da un drone), e visto che, come ho già detto, in Europa siamo molto meno terroristici e diffidenti di quanto lo siano gli americani riguardo gli inumani sviluppi delle NT, qualche voce “europea ma ombrosa” la cito volentieri: Donald Sassoon (The culture of the Europeans from 1800 to the present. HarperCollins, 2006) dice che “più libertà e più scelta per il consumatore potrebbe significare che ogni gruppo si concentrerà solo su quello che preferisce, e sperimenterà meno. Il villaggio globale può essere balcanizzato”. Marino Sinibaldi: “Che conoscenza genera, che relazioni crea (la rete)? Non c’è il rischio che l’altro, nella infinitezza delle possibilità di raggiungerlo, appaia in realtà distante e astratto, intimamente estraneo? Questo spiegherebbe il linguaggio dei social network, le sue fragilità emotive, le tentazioni aggressive”.

E dunque, che mondo stiamo costruendo per i futuri adulti del 2040? E che basi stanno essi stesso gettando per creare un mondo più unito e connesso, dotato di un nuovo senso mondialista, dando nuovo significato al termine, anzi nuovi significati. Che rete stanno davvero gettando i nostri ragazzi verso gli altri e verso l’altro in generale, quando l’unico oggetto, sorgente e obiettivo di ogni circuito “social” è – invece che un semplice “noi” – un categorico “io”? Henry Jenkins (Learning in a participatory culture, Guerini 2009) trova addirittura undici nuove abilità che emergerebbero dalla nuova era digitale: Gioco, Simulazione, Performance, Appropriazione, Multitasking, Conoscenza distribuita, Intelligenza collettiva, Giudizio, Navigazione Transmedia, Networking, Negoziazione. Non so perché ma mi continuano a suonare come sub-categorie della grande madre Produzione, e continuo a pensare che sia esimio compito della Scuola inglobare queste supposte nuove abilità proprio in quel percorso di crescita umana che ci ha portato alle stupefacenze tecnologiche di oggi, delegando loro il giusto posto in mezzo alle infinite altre abilità e sensibilità dell’uomo.

Niente ci dice che il futuro sarà così buono con i ragazzi di oggi da permettere loro di trovarsi un’oretta la sera per leggere un libro, o per fare una chiacchierata faccia a faccia con un amico, e tutto mi sembra invece suggerire di mantenere una natura che sia storicamente nostra (“stay human”), perché con essa sarà più facile e produttivo (sic!) affrontare le infinite sfide che il progresso ha ormai chiaramente in serbo per noi, ivi comprese le squassanti crisi che continueranno a imperversare negli ipermondi virtuali finanziari (sottesi ai quali resterà sempre il nostro ipo-mondo materiale dove la vita reale – mangiare, sopravvivere, curarsi – sbiadirà come una routine sempre più noiosa).


Quali speranze? Quelle che derivano dall’incomprimibilità delle giovani menti, per parafrasare un celebre principio fisico. Quando vedo ragazzi di 16-18 anni che tendono al vegetarianesimo e si interessano al mondo vegan (sicuramente un po’ per moda) perché non sopportano più la fettina di carne messa a tavola ogni sera da una analogicamente premurosa mamma, penso che la scintilla sia sempre la stessa: spingersi oltre, allontanarsi dal qui per cercare il lì, e guardare da lì quello che qui non va. Ripongo molta fiducia in questo innato senso dell’esplorazione, che di sicuro genererà gioielli di pensiero e di creatività che oggi non riusciamo neanche a immaginare; ahimé molta di meno ne ripongo negli schemi essenzialmente politici che senza curarsi di altro se non della propria sussistenza lottano ogni giorno per ingabbiare quell’esplorazione, per dirigere tanta energia e tanta spinta sempre e solo nella direzione che gli conviene di più, l’uniformazione del Consumo, la creazione di un Mondialismo Commerciale, la venerazione del Progresso Industriale.
Buttare via il giocattolo che non si sa o non si vuole usare, per inseguirne un altro. Mi sembra questo l’afflato che muove l’isterismo modernista di questi anni. Potrà questa rivoluzione risollevare i dati drammatici sulla fruizione di materiali culturali? Da una ricerca di Eurobarometro del 2013 risulta che solo il 6% degli italiani ha qualche pratica di uno strumento musicale, addirittura due punti sotto la media europea, e che l’80% degli italiani dichiara di non partecipare ad alcuna attività culturale, una percentuale superiore per decine di punti a quella di tutti gli altri Paesi membri a eccezione solo di Ungheria, Romania, Portogallo e Cipro. Sono questi i numeri da risistemare, e per farlo non servono particolari tecnologie o speciali metodi, anzi. E non ho motivo di credere che una “diversa didattica per ragazzi diversi” possa risollevare questa incresciosa situazione, anzi temo che l’isolamento, la parcellizzazione e il “digital divide” saranno i temi portanti dei prossimi anni, con una ulteriore semplificazione generalizzata delle offerte culturali e formative, buone un po’ per tutti i gusti.

Nessun commento:

Posta un commento