Mi
permetto quindi
una
domanda: nessuno intende tornare ai tempi dei fagioli sotto le
ginocchia o delle bacchettate sui palmi aperti, ma mi si può
spiegare per quale motivo, inseguendo la decadenza, bisogna
semplificare, rendere attraente, infiorettare, facilitare, addolcire
i programmi con giochi, e-books, colori attraenti e lucine luminose?
Perché è questa la modernizzazione che non posso appoggiare, quando
essa si presenta come il genitore questuante: “Lo so che mio figlio
ha preso tre, ma non c’è proprio modo di promuoverlo?”, o come
il libro a figure enormi per essere più attrattivo.
Lo
dico insieme a Marino Sinibaldi, attento osservatore della realtà
moderna, oggi direttore di Rai Radio3 (Un millimetro più in là,
Laterza 2014): “Il libro sviluppa in una forma molto peculiare due
straordinari processi umani: l’immaginazione e l’immedesimazione.
Faccio fatica a trovare forme di rapporto con la realtà che abbiano
la stessa capacità della lettura di stimolare l’immaginazione (che
è la spinta ad andare oltre i limiti di quello che ci è dato, del
già visto o sentito) e di generare immedesimazione (ossia la
capacità di entrare dentro un altro diverso, lontano, perfino
opposto da noi)”. Per assurdo, un libro meno illustrato e
facilitato non induce forse più sforzo e dunque allenamento alle
capacità di immedesimazione e di immaginazione? Non rischia questo
sconfinato panorama a disposizione di qualunque ragazzo abbia una
connessione in rete di annullargli in pochi anni l’insieme del “non
ancora dato, non ancora visto, non ancora sentito”?
L’approccio
“commerciale” degli editori scolastici non è tanto più
colpevole di quello esibito dagli stessi dirigenti scolastici, che
oggi (in preda all’autonomia) istituiscono nelle loro scuole i
corsi più disparati per poter accaparrarsi anche quell’anno il
minimo di alunni per formare il minimo di classi ecc… ecc… Questo
non l’ho mai capito. Le scuole italiane si fanno concorrenza anche
senza essere private, si rubano gli allievi a vicenda, si studiano
fra scuole vicine per capire come
mai hanno preso tot iscrizioni più di noi,
si arrovellano per capire come diventare più attraenti per le
famiglie. In una scuola pubblica questo è per me inaccettabile,
soprattutto nella misura in cui le scuole pubbliche italiane riescono
a comportarsi da scuole private anche senza che lo Stato lo abbia
chiesto: gli è venuto naturale! Anche qui stessa domanda: non è
possibile che i presidi si possano dedicare alla qualità della loro
scuola noncuranti del numero di iscrizioni? Perché un preside deve
intristirsi se
un ragazzo della sua città ha deciso di frequentare il vicino
istituto professionale invece del suo liceo? Perché non si spezza
mai
il
perverso legame (tipico del privato) fra compensi, numero di
cattedre, numero di allievi, responsabilità, manovre di tutti i tipi
per preservare questa o quella cattedra, questo o quel professore.
I
più lucidi nell’analisi sono in genere quelli che da questa
trasformazione sono tenuti a guadagnare, cioè gli editori: Andrea
Chiaramonti, Amministratore Delegato Giunti Scuola: "Abbiamo
quindi immaginato la scuola come sistema, una
startup che deve essere aiutata per partire. I prodotti che
mette a disposizione Microsoft possono aiutare la scuola a dialogare.
Noi forniamo il registro elettronico che è un sistema di
comunicazione scuola-famiglia e controllo attività". Più
chiaro di così! Problemi di Marketing Scolastico? Ci pensa
Microsoft! “Dal 2014 venderemo
nelle scuole anche un pacchetto per gli insegnanti che comprenderà
software e hardware. Un Acer
V5, con pacchetto Microsoft Office 365 e la suite di programmi
IES (Intel
Education Software) e nostri contenuti. Tematiche per la didattica".
Voilà!
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