martedì 29 dicembre 2015

12 Gli Sdraiati Digitali, iperveloci nel cyberspazio, immobili nel mondo reale


Per avviarmi a una conclusione, vorrei ricordare che un uomo nuovo serve a poco senza un mondo nuovo. Ricordo con molto affetto mio padre che mi comprò – senza averne alcuna idea – un piccolo Vic20 nel 1983, consegnandomi in quel momento la chiave d’oro che avrebbe accompagnato ogni mio impiego, ogni mia attività da quel lontano 1983. Ciononostante, la cronica sindrome nefrosica che mi astia da una decina di anni è stata probabilmente causata anche da un ritmo di vita in gioventù molto poco “tradizionale”, preferendo spesso il computer alla partita di pallone, o un libro a una passeggiata con gli amici. Sono per questo diventato migliore? O peggiore? Che opportunità ho perso, e quali invece mi sono state offerte su un piatto d’argento?
Proverò ad essere ancora più chiaro: la mia preoccupazione sulla prossima generazione di “iperconnessi” è cosa si connettono a fare? Non mi interessa assolutamente la disumanizzazione in termini di rapporto mediatico, o la spersonalizzazione dovuta all’eccessiva liquidità del social-space. Non sono terrorizzato dal fatto che le macchine possano soppiantare l’uomo, né che un giorno si possano ribellare straziando le carni dell’umano oppressore. Non mi fa orrore (come invece atterrisce mia madre!) l’idea di ordinare una pizza e vedersela recapitare da un drone, magari mentre sto sdraiato venti ore al giorno in una sorta di Cocoon dal quale posso lavorare, divertirmi, interagire col mondo, comandare un’astronave, tutto senza muovere più di due-tre muscoli, trasformandomi in quello che probabilmente sarà l’uomo del XXII secolo, obeso, muscolarmente inetto, iperconnesso in qualsiasi momento, potenzialmente ubiquo, probabilmente molto spesso annoiato, più di oggi.
A me preoccupa che con tanta comodità e tecnologia, quell’Uomo2.0 spenda qualche minuto - più di oggi! - ad occuparsi dei suoi simili, o della condizione della natura che lo circonda, o dei problemi dei più deboli. Che attraverso tanti collegamenti quell’Uomo2.0 sia più informato di oggi, meno passivo rispetto alla massificazione dell’informazione, più attento e più critico, magari più incline alla solidarietà e alla pace che alla contrapposizione e alla guerra, più attento alla vita sociale e politica, e magari in grado di apportare qualcosa in più al dibattito sociale di quanto accada oggi. Ecco perché rifuggo le visioni di Prensky o di Jenkins, e non vedo nessun vantaggio per l’Umanità, mentre ne vedo tanti per l’Economia, nel fatto che i ragazzi di oggi acquisiscano tante belle nuove abilità e capacità di cui però nessuna sembra far rima con “solidarietà”, “sostenibilità”, “profondità”.
Propongo qui un interessantissimo quanto drammatico passaggio di Arturo Marcello Allega in “Analfabetismo: il punto di non ritorno” (Herald Ed. 2011), sull’effettiva portata del fenomeno in termini di alfabetismo e di istruzione:
Considerando la popolazione “non istruita” o “dealfabetizzata” come costituita da tutti coloro che non hanno completato l’obbligo scolastico (fissato entro il 16° anno di età) o che nel tempo hanno perso la propria istruzione sostanziale a causa delle diverse forme di analfabetismo di ritorno, calcoliamo la velocità di crescita di questa popolazione rispetto a quella degli “istruiti”, dal 1951 ai nostri giorni. I dati mostrano che i “non istruiti” crescono con una velocità sempre più elevata mentre gli “istruiti” crescono fino al 2001, dove invertono la loro velocità. Nel 2006 i “non istruiti” superano gli “istruiti” e i numeri lasciano sperare ben poco per questi ultimi.
(…) i dati OCSE puliti, cioè senza filtro alcuno, portavano a un 47% di “non istruiti” e al 57% degli “istruiti” nel 2011. Con il filtro prodotto dal processo di dealfabetizzazione, abbiamo visto nell’articolo “Darwin, Pareto e i dati Ocse sull’istruzione” che nel 2011 i dati si stabilizzano intorno al 66% per i primi e al 34% per i secondi, come già annunciato da Tullio De Mauro in diverse proiezioni anticipate in interviste sull’argomento. Con il calcolo delle velocità qui riportato, lo scenario di Pareto sembra scontato e inevitabile: i “non istruiti” tenderanno nel prossimo futuro all’80% e gli “istruiti” al 20%. (…) assistiamo alla comparsa di un punto di non ritorno, oltre il quale la popolazione dei “non istruiti” è destinata a costituire la maggioranza assoluta della popolazione. Positivo? Negativo? La destrutturazione dei linguaggi storici è involuzione? La moltiplicazione delle diversità (anche dei linguaggi) è foriera di innovazione, di ricchezza culturale o l’avvio di una nuova Babele? Gli “istruiti” saranno i nuovi esclusi, i nuovi dropped out?


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