martedì 29 dicembre 2015

08 Il triangolo Docenti-Famiglie-Allievi, la Società permea la Scuola.


Una delle cose che ho compreso lavorando a scuola è che, per quei termini di “simbiotica antitesi” fra Scuola e Società che ho illustrato prima, e seppure le distanze reciproche fra docenti, famiglie e alunni sembrano ogni volta allungarsi e restringersi istericamente, le tre componenti, come tre vertici di un triangolo, sono tutte ugualmente attori attivi e passivi, vittime e carnefici, causa ed effetto, variabili dipendenti e indipendenti della stessa funzione (visto che l’area del triangolo, cioè la densità sociale dell’istituzione scolastica, è sempre la stessa). È come quando i pedoni sbraitano a un’auto che non rispetta le strisce, salvo poi fare lo stesso quando entrano in macchina imprecando contro i pedoni.
Avrei sempre voglia di chiedere a ogni insegnante che frigna lamentandosi dei suoi allievi come vanno i suoi figli a scuola.
E ai genitori che imprecano contro i prof per ingiustizie inenarrabili nei confronti dei loro figli vorrei chiedere qualcosa di più sulla loro vita familiare, vorrei sapere quanto si confrontano davvero con i ragazzi o se piuttosto si limitino a timbrare ogni giorno il cartellino dei “Hai fatto i compiti? Questa casa non è un albergo!” eccetera.
E vorrei anche indagare meglio su quel senso di delega tout-court che i genitori assegnano alla scuola, salvo poi censurarne a suon di critiche e proteste i comportamenti, le strutture, le professionalità.
È il Triangolo Scolastico, quel turbine di interazioni reciproche, spesso violentissime, fra i tre punti nodali; è il fulcro multiposizionale che tiene continuamente in equilibrio un oggetto troppo pesante su un piccolissimo perno, con continui aggiustamenti, brusche correzioni, tutto per tenerlo, per quanto più possibile, fermo. I tre vertici sono ovviamente paritetici – anche troppo - eppure, in questo triangolo, c’è un vertice speciale, che non è discutibile, che non accetta mediazioni, un vertice che è inizio e fine della missione scolastica, anzi dirò della missione sociale. Il vertice è ovviamente quello degli aluni, che sono – per dirla moderna – i consumatori finali della Scuola, i clienti insomma. E a questi senz’altro la scuola deve rivolgersi non in senso pietoso e accomodante, con la serie di semplificazioni, agevolazioni, imboccamenti e facilitazioni di cui questa rivoluzione tecnologica sembra essere solo la copertura per celare ben altre magagne e mancanze. Bensì gli alunni, in quanto destinatari della nostra azione di insegnanti e/o di genitori, semplicemente si sono guadagnati l’aggettivo di “invariante”, o “invariabile”: cioè non si può pensare di cambiare i ragazzi con i metodi, né di poter accomodare con delle toppe quello che altrove è stato già violentemente strappato e sfilacciato.
Dunque a loro dobbiamo guardare, pensare e mirare, senza quel piagnisteo continuo che molti insegnanti – un po’ stanchi? – blaterano a ogni pié sospinto lamentandosi degli strani comportamenti (soprattutto quelli da “nativi”!) e attitudini dei loro allievi. A volte chiedo loro, provocatoriamente, se secondo loro un macellaio si lamenta della puzza di carne morta, o se un falegname impreca contro la segatura, o se un fioraio si duole del polline dei fiori. Più provocatoriamente: “perché insegni?”.


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