Una
delle cose che ho compreso lavorando a scuola è che, per quei
termini di “simbiotica antitesi” fra Scuola e Società che ho
illustrato prima, e seppure le distanze reciproche fra docenti,
famiglie e alunni sembrano ogni volta allungarsi e restringersi
istericamente, le tre componenti, come tre vertici di un triangolo,
sono tutte ugualmente attori attivi e passivi, vittime e carnefici,
causa ed effetto, variabili dipendenti e indipendenti della stessa
funzione (visto che l’area del triangolo, cioè la densità sociale
dell’istituzione scolastica, è sempre la stessa). È come quando i
pedoni sbraitano a un’auto che non rispetta le strisce, salvo poi
fare lo stesso quando entrano in macchina imprecando contro i pedoni.
Avrei
sempre voglia di chiedere a ogni insegnante che frigna lamentandosi
dei suoi allievi come vanno i suoi figli a scuola.
E
ai genitori che imprecano contro i prof per ingiustizie inenarrabili
nei confronti dei loro figli vorrei chiedere qualcosa di più sulla
loro vita familiare, vorrei sapere quanto si confrontano davvero con
i ragazzi o se piuttosto si limitino a timbrare ogni giorno il
cartellino dei “Hai fatto i compiti? Questa casa non è un
albergo!” eccetera.
E
vorrei anche indagare meglio su quel senso di delega tout-court che i
genitori assegnano alla scuola, salvo poi censurarne a suon di
critiche e proteste i comportamenti, le strutture, le
professionalità.
È
il Triangolo Scolastico, quel turbine di interazioni reciproche,
spesso violentissime, fra i tre punti nodali; è il fulcro
multiposizionale che tiene continuamente in equilibrio un oggetto
troppo pesante su un piccolissimo perno, con continui aggiustamenti,
brusche correzioni, tutto per tenerlo, per quanto più possibile,
fermo. I tre vertici sono ovviamente paritetici –
anche troppo - eppure, in questo triangolo, c’è un vertice
speciale, che non è discutibile, che non accetta mediazioni, un
vertice che è inizio e fine della missione scolastica, anzi dirò
della missione sociale. Il vertice è ovviamente quello degli aluni,
che sono – per dirla moderna – i consumatori finali della
Scuola, i clienti insomma. E a questi senz’altro la scuola deve
rivolgersi non in senso pietoso e accomodante, con la serie di
semplificazioni, agevolazioni, imboccamenti e facilitazioni di cui
questa rivoluzione tecnologica sembra essere solo la copertura per
celare ben altre magagne e mancanze. Bensì gli alunni, in quanto
destinatari della nostra azione di insegnanti e/o di genitori,
semplicemente si sono guadagnati l’aggettivo di “invariante”, o
“invariabile”: cioè non si può pensare di cambiare i ragazzi
con i metodi, né di poter accomodare con delle toppe quello che
altrove è stato già violentemente strappato e sfilacciato.
Dunque
a loro dobbiamo guardare, pensare e mirare, senza quel piagnisteo
continuo che molti insegnanti – un po’ stanchi? – blaterano a
ogni pié sospinto lamentandosi degli strani comportamenti
(soprattutto quelli da “nativi”!) e attitudini dei loro allievi.
A volte chiedo loro, provocatoriamente, se secondo loro un macellaio
si lamenta della puzza di carne morta, o se un falegname impreca
contro la segatura, o se un fioraio si duole del polline dei fiori.
Più provocatoriamente: “perché insegni?”.
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