martedì 29 dicembre 2015

01 Prensky, Alunni Nativi e Insegnanti Immigrati


Essere nativi digitali vuol dire essere nati nell’epoca digitale, ma anche no, visto che sul termine, coniato da Marc Prensky, esperto planetario di apprendimento e tecnologie connesse, ideatore dei termini “nativo digitale” e “immigrato digitale” (ultimo libro: Brain Gain, Technology and the Quest for Digital Wisdom, versione italiana: La Mente Aumentata, dai nativi digitali alla saggezza digitale, Erickson 2013), c’è ancora ampia battaglia. E comunque vuol dire non sapere cos’è un telefono a disco, o una musicassetta. Vuol dire non avere il concetto di “enciclopedia”, un dispendio inutile di carta e spazio: quale adolescente del mondo sviluppato andrebbe oggi a cercare “entomologia” nel volume ELB-FRU della Treccani? Se proprio, caso incredibile, gli interessasse, il massimo di sforzo che deve fare è tirar fuori il palmare, cliccare sulla lente di ingrandimento e scrivere, nemmeno per intero perché c’è l’assistente di scrittura, “entomologia”. Un paio di secondi e la risposta è lì.
Nati fra i dati, in un mondo già completamente disponibile in quel rettangolone illuminato che hanno imparato a conoscere fin dal primo giorno di vita (che sia TV o computer qui poco importa). Nati alla finestra di una terrazza infinita, a-dimensionale, immensamente piena eppure immensamente famelica di nuovi contenuti, di altre foto, di nuove – sempre le stesse – emozioni e nuovi entusiasti, di nuove vite da inglobare e cristallizzare in un affresco frattale senza fine.

Mi permetto qui di dialogare un po’ con le idee di Prensky. Sono innumerevoli le suggestioni offerte dalla sua visione, laddove identifica le linee guida per la moderna saggezza, la “saggezza digitale” appunto, necessaria a sopravvivere nel nuovo mondo e nei nuovi mondi a venire, una “super-mente” espansa grazie alla tecnologia che spinge sempre più avanti il progresso umano. Va detto che la sua visione è pesantemente condizionata dalla polarizzazione in atto negli USA fra detrattori e sostenitori delle NT (Nuove Tecnologie) prese però tout court, indipendentemente dalla connessione all’istruzione o alla sanità o ad altro. Gli americani in maggioranza si sentono al momento molto minacciati dalle NT soprattutto per quanto riguarda un senso di “disumanizzazione” che pervade – secondo loro – gli scenari che oggi ci si parano di fronte. Vivono una sorta di resistenza al “mondo dei robot”, una paura non tanto luddista quanto umanista, nel senso più tradizionalista e conservatore del termine. Da qui la lotta del “modernista” Prensky nel cercare di dimostrare che le NT ci migliorano, ci trasformano in qualcosa di meglio, di destinato a un popolo, quello umano, che evolve la sua tecnica e la sua potenzialità di pensiero, anche, e soprattutto, grazie alle macchine.

Ci sono almeno due capisaldi nelle mie obiezioni al concetto prenskyano di “mente aumentata”.
Il primo: se tutto questo miglioramento, questa nuova umanità “digitalmente saggia” sarà indirizzata sempre solo ed esclusivamente alla produzione, per costruire una ricchezza sempre più esclusiva, incrementando sempre di più la differenza fra il Primo e gli Altri Mondi, ebbene si potrà parlare di Innovazione, ma ahimé ben poco di Miglioramento, o Progresso. Cos’è Progresso? Progredire, procedere nel senso di marcia. Cosa vorremmo che succedesse per affermare un giorno che “il Mondo è progredito, è andato AVANTI”? Verso dove? Rispetto a cosa? Con quale scopo, quale progetto collettivo? Si “procede” solo perché raddoppiano ogni giorno le capacità di memorizzazione e trasmissione dati, le velocità dei trasporti, delle comunicazioni, delle transazioni finanziarie… E’ solo dEssere nativi digitali vuol dire essere nati nell’epoca digitale, ma anche no, visto che sul termine, coniato da Marc Prensky, esperto planetario di apprendimento e tecnologie connesse, ideatore dei termini “nativo digitale” e “immigrato digitale” (ultimo libro: Brain Gain, Technology and the Quest for Digital Wisdom, versione italiana: La Mente Aumentata, dai nativi digitali alla saggezza digitale, Erickson 2013), c’è ancora ampia battaglia. E comunque vuol dire non sapere cos’è un telefono a disco, o una musicassetta. Vuol dire non avere il concetto di “enciclopedia”, un dispendio inutile di carta e spazio: quale adolescente del mondo sviluppato andrebbe oggi a cercare “entomologia” nel volume ELB-FRU della Treccani? Se proprio, caso incredibile, gli interessasse, il massimo di sforzo che deve fare è tirar fuori il palmare, cliccare sulla lente di ingrandimento e scrivere, nemmeno per intero perché c’è l’assistente di scrittura, “entomologia”. Un paio di secondi e la risposta è lì.
Nati fra i dati, in un mondo già completamente disponibile in quel rettangolone illuminato che hanno imparato a conoscere fin dal primo giorno di vita (che sia TV o computer qui poco importa). Nati alla finestra di una terrazza infinita, a-dimensionale, immensamente piena eppure immensamente famelica di nuovi contenuti, di altre foto, di nuove – sempre le stesse – emozioni e nuovi entusiasti, di nuove vite da inglobare e cristallizzare in un affresco frattale senza fine.


Mi permetto qui di dialogare un po’ con le idee di Prensky. Sono innumerevoli le suggestioni offerte dalla sua visione, laddove identifica le linee guida per la moderna saggezza, la “saggezza digitale” appunto, necessaria a sopravvivere nel nuovo mondo e nei nuovi mondi a venire, una “super-mente” espansa grazie alla tecnologia che spinge sempre più avanti il progresso umano. Va detto che la sua visione è pesantemente condizionata dalla polarizzazione in atto negli USA fra detrattori e sostenitori delle NT (Nuove Tecnologie) prese però tout court, indipendentemente dalla connessione all’istruzione o alla sanità o ad altro. Gli americani in maggioranza si sentono al momento molto minacciati dalle NT soprattutto per quanto riguarda un senso di “disumanizzazione” che pervade – secondo loro – gli scenari che oggi ci si parano di fronte. Vivono una sorta di resistenza al “mondo dei robot”, una paura non tanto luddista quanto umanista, nel senso più tradizionalista e conservatore del termine. Da qui la lotta del “modernista” Prensky nel cercare di dimostrare che le NT ci migliorano, ci trasformano in qualcosa di meglio, di destinato a un popolo, quello umano, che evolve la sua tecnica e la sua potenzialità di pensiero, anche, e soprattutto, grazie alle macchine.

Ci sono almeno due capisaldi nelle mie obiezioni al concetto prenskyano di “mente aumentata”.
Il primo: se tutto questo miglioramento, questa nuova umanità “digitalmente saggia” sarà indirizzata sempre solo ed esclusivamente alla produzione, per costruire una ricchezza sempre più esclusiva, incrementando sempre di più la differenza fra il Primo e gli Altri Mondi, ebbene si potrà parlare di Innovazione, ma ahimé ben poco di Miglioramento, o Progresso. Cos’è Progresso? Progredire, procedere nel senso di marcia. Cosa vorremmo che succedesse per affermare un giorno che “il Mondo è progredito, è andato AVANTI”? Verso dove? Rispetto a cosa? Con quale scopo, quale progetto collettivo? Si “procede” solo perché raddoppiano ogni giorno le capacità di memorizzazione e trasmissione dati, le velocità dei trasporti, delle comunicazioni, delle transazioni finanziarie… E’ solo dEssere nativi digitali vuol dire essere nati nell’epoca digitale, ma anche no, visto che sul termine, coniato da Marc Prensky, esperto planetario di apprendimento e tecnologie connesse, ideatore dei termini “nativo digitale” e “immigrato digitale” (ultimo libro: Brain Gain, Technology and the Quest for Digital Wisdom, versione italiana: La Mente Aumentata, dai nativi digitali alla saggezza digitale, Erickson 2013), c’è ancora ampia battaglia. E comunque vuol dire non sapere cos’è un telefono a disco, o una musicassetta. Vuol dire non avere il concetto di “enciclopedia”, un dispendio inutile di carta e spazio: quale adolescente del mondo sviluppato andrebbe oggi a cercare “entomologia” nel volume ELB-FRU della Treccani? Se proprio, caso incredibile, gli interessasse, il massimo di sforzo che deve fare è tirar fuori il palmare, cliccare sulla lente di ingrandimento e scrivere, nemmeno per intero perché c’è l’assistente di scrittura, “entomologia”. Un paio di secondi e la risposta è lì.
!!br0ken!!unque una questione di numeri, di valori assoluti sempre crescenti?
Mi dispiace non riuscire a seguire Prensky in questo commovente ottimismo, perché non posso fare a meno di ricordare che ogni innovazione costituisce per l’Uomo una possibilità di scelta, una selezione di indirizzo positivo o negativo, sia prima che dopo l’adozione della nuova tecnica. Inutile farne la lista, dalla lancia di selce alla bomba atomica. E dunque non riesco a vedere il parallelismo fra l’estensione della mente umana – innegabile, affascinante, ineluttabile – e un’idea di un progresso legato al “fare prima”, “fare meglio”, “fare di più”. La risposta che mi sento dare a queste obiezioni in genere è qualcosa del tipo “allora vuoi rinunciare alla lavatrice?”. Il punto non è la comodità della vita, piuttosto è l’accanimento e la concentrazione degli sforzi intorno al possesso – ad esempio – della lavatrice finché questo rimane un problema di un sesto, un quinto della popolazione mondiale. O per caso qualcuno di voi lettori pensa che il Mondo migliora perché i (sempre meno numerosi) viventi privilegiati della Terra utilizzano (sempre più) risorse, di cui parecchie in possesso dei (sempre più numerosi) meno privilegiati, migliorano la loro auto-referenziale esistenza? Dove inizia e dove finisce il nostro Mondo? A che distanza dal pianerottolo di casa?

La seconda obiezione: Prensky sottolinea come le NT stiano offrendo alla collettività la possibilità di una nuova modalità partecipativa “dal basso”, citando tutti i ben noti esempi di come grazie alle NT si possono migliorare le interazioni fra le componenti e gli strati della società, si può scrivere al proprio amministratore locale, si può sostenere la campagna elettorale del proprio candidato, si possono organizzare comitati e gruppi sia locali che globali sui temi e le problematiche più differenti e via via con tutta la sfilza di e-government, e-procurement, e-inclusion, e-qualsiasicosa. Obietto: tutto ciò è fantastico, esiste da un po’ e senz’altro crescerà ulteriormente nei suoi termini numerici, ma ciò che può migliorare la vita sociale degli individui e in generale le strutture organizzate delle nazioni (lascio spazio qui alla mia visione un po’ italiota della res publica fondamentalmente opposta a quella di Prensky) è che nonostante le mirabolanti vie applicative e tutte le migliori tecnologie gli amministratori non rubino poi i soldi pubblici, i funzionari facciano con onestà il loro lavoro, i cittadini e le componenti sociali tutte si comportino in modo solidale, socialmente positivo e proattivo. Prensky vuole suggerire o comunque augurarsi che attraverso l’evoluzione e l’ottimizzazione delle vie di contatto fra le parti sociali, queste ultime tendano così più volentieri o più rapidamente al bene comune? Possibilità eccitante, che tanti di noi abbiamo incorniciato sul finire degli anni '80 sperando di essere delle Cyber-Cassandre del Bene Sociale. Possibilità sulla quale però penso che l’ultimo ventennio italiano abbia detto l’ultima parola, cioè tesi (finora) non dimostrabile. Voglio dire che non saranno mai i nuovi media, o le NT, o le aule scolastiche con pareti LED, e tutte le reti e sottoreti derivanti a migliorare i contenuti di cotanti e cotali contenitori. Dentro questi, dentro le bellissime e luminescenti scatole, c’è qualcosa – anzi ci deve essere! - di molto più importante, qualcosa di determinante che solo in seconda battuta, appunto, determina il livello e lo spessore qualitativo e - se vogliamo – storico dell’intero sistema di connessioni e di strutture che chiedono di essere riempite e utilizzate.

Vale dunque la pena di cercare di comprendere quali nuovi sensi, quali “adattamenti” darwiniani stanno avvenendo nelle generazioni di nativi digitali, per comprendere come essi stanno interagendo col nuovo mondo che descrive Prensky. E in fondo tutta la mia piccola trattazione mira a chiedere – a voi, ma molto onestamente anche a me stesso – se ciò che stiamo in qualche modo guadagnando come esseri umani valga davvero la pena considerati i costi, cioè quello che come umani stiamo perdendo. Non è tanto la classica paura dei nordamericani che si vedono “derubati” di qualcosa (tipo la loro annosa protesta contro uno Stato cattivone che vuole togliere per legge i grassi insaturi caratteristici di tutto il junk-food che ingurgitano gli statunitensi) quanto un’onesta e stupita perplessità di fronte all’evidente cambiamento in atto. Mi interessa davvero comprendere in primo luogo quanto costa, per dirla in termini informatici, l’upgrade che l’uomo sta facendo a questa sorta di versione 2.0 del buon vecchio Homo Sapiens; voglio capire appunto i costi con cui si conduce quest’operazione, i tempi, voglio sapere chi la conduce e come è stato deciso che vada condotta nei termini finora elencati; ma soprattutto mi interessa capire chi è il committente dell’affare. Voglio capire se questa evoluzione è così inderogabile o se ce nerano altre possibili; vorrei comprendere, come dicevo prima, cui prodest, a chi giova. Non sono sicuro che questa sia l’unica via e l’unica serie di risultati ottenibili dall’uomo che ci possono far esclamare “ecco, stiamo progredendo!”. E dunque cosa accade ai ragazzi, ai nuovi virgulti dell’umana vite? Perché in classe non riesco a vedere altro che effetti negativi di questa mutazione? Sono solo sfortunato perché insegno in un ITI di periferia? Il fatto di inviare al gruppo WhatsUp della classe i compiti da svolgere a casa, non è una conquista nell’uso delle NT con i giovani, o un ammodernamento della mia tecnica didattica: è semplicemente l’unico modo che ho trovato per ricordare (un pelino in più che facendoglielo scrivere nel diario) ai ragazzi di svolgere quei due-tre esercizi durante il pomeriggio, sperando che li svolgano. È un piccolo avvicinamento alla loro dinamica comunicativa, ma non è un passo avanti né nella mia metodologia di insegnamento né nella loro capacità di apprendimento, anzi mi sembra semplicemente un utilizzo condiviso della NT preminente in questo momento per svolgere un obiettivo che mi sono preposto. Questo è insegnamento 2.0? Per questo serve aggiornare migliaia di insegnanti - in genere non proprio giovanissimi - all’uso di un micragnoso tablet o di una lavagna luminosa, entrambi strumenti che gli alunni padroneggiano benissimo già da soli? Non basta invece, forse, mantenere un po’ più giovane la classe insegnante? Comprare strumenti ovvi per qualsiasi ufficio (sedie, scrivanie, computer) e rinnovarli di anno in anno? Riprenderemo più avanti la discussione sugli insenganti, ora dedichiamoci ai nostri alunni.

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