Essere
nativi digitali vuol dire essere nati nell’epoca digitale, ma anche
no, visto che sul termine, coniato da Marc Prensky, esperto
planetario di apprendimento e tecnologie connesse, ideatore dei
termini “nativo digitale” e “immigrato digitale” (ultimo
libro: Brain Gain, Technology and the Quest for Digital Wisdom,
versione italiana: La Mente Aumentata, dai nativi digitali alla
saggezza digitale, Erickson 2013),
c’è ancora ampia battaglia. E comunque vuol dire non sapere cos’è
un telefono a disco, o una musicassetta. Vuol dire non avere il
concetto di “enciclopedia”, un dispendio inutile di carta e
spazio: quale adolescente del mondo sviluppato andrebbe oggi a
cercare “entomologia” nel volume ELB-FRU della Treccani? Se
proprio, caso incredibile, gli interessasse, il massimo di sforzo che
deve fare è tirar fuori il palmare, cliccare sulla lente di
ingrandimento e scrivere, nemmeno per intero perché c’è
l’assistente di scrittura, “entomologia”. Un paio di secondi e
la risposta è lì.
Nati
fra i dati, in un mondo già completamente disponibile in quel
rettangolone illuminato che hanno imparato a conoscere fin dal primo
giorno di vita (che sia TV o computer qui poco importa). Nati alla
finestra di una terrazza infinita, a-dimensionale, immensamente piena
eppure immensamente famelica di nuovi contenuti, di altre foto, di
nuove – sempre le stesse – emozioni e nuovi entusiasti, di nuove
vite da inglobare e cristallizzare in un affresco frattale senza
fine.
Mi
permetto qui di dialogare un po’ con le idee di Prensky. Sono
innumerevoli le suggestioni offerte dalla sua
visione,
laddove identifica le linee guida per la moderna saggezza, la
“saggezza digitale” appunto, necessaria a sopravvivere nel nuovo
mondo e nei nuovi mondi a venire, una “super-mente” espansa
grazie alla tecnologia che spinge sempre più avanti il progresso
umano. Va detto che la sua visione è pesantemente condizionata dalla
polarizzazione in atto negli USA fra detrattori e sostenitori delle
NT (Nuove Tecnologie) prese però tout
court,
indipendentemente dalla connessione all’istruzione o alla sanità o
ad altro. Gli americani in maggioranza si sentono al momento molto
minacciati dalle NT soprattutto per quanto riguarda un senso di
“disumanizzazione” che pervade – secondo loro – gli scenari
che oggi ci si parano di fronte. Vivono una sorta di resistenza al
“mondo dei robot”, una paura non tanto luddista quanto umanista,
nel senso più tradizionalista e conservatore del termine. Da qui la
lotta del “modernista” Prensky nel cercare di dimostrare che le
NT ci migliorano, ci trasformano
in qualcosa di meglio, di destinato a un popolo, quello umano, che
evolve la sua tecnica e la sua potenzialità di pensiero, anche, e
soprattutto, grazie alle macchine.
Ci
sono almeno due capisaldi nelle mie obiezioni al concetto prenskyano
di “mente aumentata”.
Il
primo: se tutto questo miglioramento, questa nuova umanità
“digitalmente saggia” sarà indirizzata sempre solo ed
esclusivamente alla produzione, per costruire una ricchezza sempre
più esclusiva, incrementando sempre di più la differenza fra il
Primo e gli Altri Mondi, ebbene si potrà parlare di Innovazione, ma
ahimé ben poco di Miglioramento, o Progresso. Cos’è Progresso?
Progredire, procedere nel senso di marcia. Cosa vorremmo che
succedesse per affermare un giorno che “il Mondo è progredito, è
andato AVANTI”? Verso dove? Rispetto a cosa? Con quale scopo, quale
progetto collettivo? Si “procede” solo perché raddoppiano ogni
giorno le capacità di memorizzazione e trasmissione dati, le
velocità dei trasporti, delle comunicazioni, delle transazioni
finanziarie… E’ solo dEssere nativi digitali vuol dire essere
nati nell’epoca digitale, ma anche no, visto che sul termine,
coniato da Marc Prensky, esperto planetario di apprendimento e
tecnologie connesse, ideatore dei termini “nativo digitale” e
“immigrato digitale” (ultimo libro: Brain Gain, Technology and
the Quest for Digital Wisdom, versione italiana: La Mente Aumentata,
dai nativi digitali alla saggezza digitale, Erickson 2013), c’è
ancora ampia battaglia. E comunque vuol dire non sapere cos’è un
telefono a disco, o una musicassetta. Vuol dire non avere il concetto
di “enciclopedia”, un dispendio inutile di carta e spazio: quale
adolescente del mondo sviluppato andrebbe oggi a cercare
“entomologia” nel volume ELB-FRU della Treccani? Se proprio, caso
incredibile, gli interessasse, il massimo di sforzo che deve fare è
tirar fuori il palmare, cliccare sulla lente di ingrandimento e
scrivere, nemmeno per intero perché c’è l’assistente di
scrittura, “entomologia”. Un paio di secondi e la risposta è lì.
Nati
fra i dati, in un mondo già completamente disponibile in quel
rettangolone illuminato che hanno imparato a conoscere fin dal primo
giorno di vita (che sia TV o computer qui poco importa). Nati alla
finestra di una terrazza infinita, a-dimensionale, immensamente piena
eppure immensamente famelica di nuovi contenuti, di altre foto, di
nuove – sempre le stesse – emozioni e nuovi entusiasti, di nuove
vite da inglobare e cristallizzare in un affresco frattale senza
fine.
Mi
permetto qui di dialogare un po’ con le idee di Prensky. Sono
innumerevoli le suggestioni offerte dalla sua
visione,
laddove identifica le linee guida per la moderna saggezza, la
“saggezza digitale” appunto, necessaria a sopravvivere nel nuovo
mondo e nei nuovi mondi a venire, una “super-mente” espansa
grazie alla tecnologia che spinge sempre più avanti il progresso
umano. Va detto che la sua visione è pesantemente condizionata dalla
polarizzazione in atto negli USA fra detrattori e sostenitori delle
NT (Nuove Tecnologie) prese però tout
court,
indipendentemente dalla connessione all’istruzione o alla sanità o
ad altro. Gli americani in maggioranza si sentono al momento molto
minacciati dalle NT soprattutto per quanto riguarda un senso di
“disumanizzazione” che pervade – secondo loro – gli scenari
che oggi ci si parano di fronte. Vivono una sorta di resistenza al
“mondo dei robot”, una paura non tanto luddista quanto umanista,
nel senso più tradizionalista e conservatore del termine. Da qui la
lotta del “modernista” Prensky nel cercare di dimostrare che le
NT ci migliorano, ci trasformano
in qualcosa di meglio, di destinato a un popolo, quello umano, che
evolve la sua tecnica e la sua potenzialità di pensiero, anche, e
soprattutto, grazie alle macchine.
Ci
sono almeno due capisaldi nelle mie obiezioni al concetto prenskyano
di “mente aumentata”.
Il
primo: se tutto questo miglioramento, questa nuova umanità
“digitalmente saggia” sarà indirizzata sempre solo ed
esclusivamente alla produzione, per costruire una ricchezza sempre
più esclusiva, incrementando sempre di più la differenza fra il
Primo e gli Altri Mondi, ebbene si potrà parlare di Innovazione, ma
ahimé ben poco di Miglioramento, o Progresso. Cos’è Progresso?
Progredire, procedere nel senso di marcia. Cosa vorremmo che
succedesse per affermare un giorno che “il Mondo è progredito, è
andato AVANTI”? Verso dove? Rispetto a cosa? Con quale scopo, quale
progetto collettivo? Si “procede” solo perché raddoppiano ogni
giorno le capacità di memorizzazione e trasmissione dati, le
velocità dei trasporti, delle comunicazioni, delle transazioni
finanziarie… E’ solo dEssere nativi digitali vuol dire essere
nati nell’epoca digitale, ma anche no, visto che sul termine,
coniato da Marc Prensky, esperto planetario di apprendimento e
tecnologie connesse, ideatore dei termini “nativo digitale” e
“immigrato digitale” (ultimo libro: Brain Gain, Technology and
the Quest for Digital Wisdom, versione italiana: La Mente Aumentata,
dai nativi digitali alla saggezza digitale, Erickson 2013), c’è
ancora ampia battaglia. E comunque vuol dire non sapere cos’è un
telefono a disco, o una musicassetta. Vuol dire non avere il concetto
di “enciclopedia”, un dispendio inutile di carta e spazio: quale
adolescente del mondo sviluppato andrebbe oggi a cercare
“entomologia” nel volume ELB-FRU della Treccani? Se proprio, caso
incredibile, gli interessasse, il massimo di sforzo che deve fare è
tirar fuori il palmare, cliccare sulla lente di ingrandimento e
scrivere, nemmeno per intero perché c’è l’assistente di
scrittura, “entomologia”. Un paio di secondi e la risposta è lì.
!!br0ken!!unque
una questione di numeri, di valori assoluti sempre crescenti?
Mi
dispiace non riuscire a seguire Prensky in questo commovente
ottimismo, perché non posso fare a meno di ricordare che ogni
innovazione costituisce per l’Uomo una possibilità di scelta, una
selezione di indirizzo positivo o negativo, sia prima che dopo
l’adozione della nuova tecnica. Inutile farne la lista, dalla
lancia di selce alla bomba atomica. E dunque non riesco a vedere il
parallelismo fra l’estensione della mente umana – innegabile,
affascinante, ineluttabile – e un’idea di un progresso legato al
“fare prima”, “fare meglio”, “fare di più”. La risposta
che mi sento dare a queste obiezioni in genere è qualcosa del tipo
“allora vuoi rinunciare alla lavatrice?”. Il punto non è la
comodità
della
vita, piuttosto è l’accanimento e la concentrazione degli sforzi
intorno al possesso
– ad esempio – della lavatrice finché questo rimane un problema
di un sesto, un quinto della popolazione mondiale. O per caso
qualcuno di voi lettori pensa che il Mondo migliora perché i (sempre
meno numerosi) viventi privilegiati della Terra utilizzano (sempre
più) risorse, di cui parecchie in possesso dei (sempre più
numerosi) meno privilegiati, migliorano la loro auto-referenziale
esistenza? Dove inizia e dove finisce il nostro Mondo? A che distanza
dal pianerottolo di casa?
La
seconda obiezione: Prensky sottolinea come le NT stiano offrendo alla
collettività la possibilità di una nuova modalità partecipativa
“dal basso”, citando tutti i ben noti esempi di come grazie alle
NT si possono migliorare le interazioni fra le componenti e gli
strati della società, si può scrivere al proprio amministratore
locale, si può sostenere la campagna elettorale del proprio
candidato, si possono organizzare comitati e gruppi sia locali che
globali sui temi e le problematiche più differenti e
via via con tutta la sfilza di e-government, e-procurement,
e-inclusion, e-qualsiasicosa.
Obietto: tutto ciò è fantastico, esiste da un po’ e senz’altro
crescerà ulteriormente nei suoi termini numerici, ma ciò che può
migliorare la vita sociale degli individui e in generale le strutture
organizzate delle nazioni (lascio spazio qui alla mia visione un po’
italiota
della
res publica fondamentalmente opposta a quella di Prensky) è che
nonostante le mirabolanti vie applicative e tutte le migliori
tecnologie gli amministratori non rubino poi i soldi pubblici, i
funzionari facciano con onestà il loro lavoro, i cittadini e le
componenti sociali tutte si comportino in modo solidale, socialmente
positivo e proattivo.
Prensky
vuole suggerire o comunque augurarsi
che attraverso l’evoluzione e l’ottimizzazione delle vie di
contatto fra le parti sociali, queste ultime tendano così più
volentieri o più rapidamente al bene comune? Possibilità eccitante,
che
tanti di noi abbiamo incorniciato sul finire degli anni '80 sperando
di essere delle Cyber-Cassandre del Bene Sociale. Possibilità sulla
quale però penso che l’ultimo ventennio italiano abbia detto
l’ultima parola, cioè
tesi
(finora) non dimostrabile.
Voglio
dire che
non saranno mai i nuovi media, o le NT, o le aule scolastiche con
pareti LED, e tutte le reti e sottoreti derivanti a migliorare i
contenuti di cotanti e cotali contenitori. Dentro
questi,
dentro le bellissime e luminescenti scatole, c’è qualcosa – anzi
ci deve
essere! - di molto più importante, qualcosa di determinante che solo
in seconda battuta, appunto, determina
il livello e lo spessore qualitativo e - se vogliamo – storico
dell’intero sistema di connessioni e di strutture che chiedono di
essere riempite e utilizzate.
Vale
dunque la pena di cercare di comprendere quali nuovi sensi, quali
“adattamenti” darwiniani stanno avvenendo nelle generazioni di
nativi digitali, per comprendere come essi stanno interagendo col
nuovo mondo che descrive Prensky. E in fondo tutta la mia piccola
trattazione mira a chiedere – a voi, ma molto onestamente anche a
me stesso – se ciò che stiamo in qualche modo guadagnando
come esseri umani valga davvero la pena considerati i costi,
cioè quello che come umani stiamo perdendo. Non è tanto la classica
paura dei nordamericani che si vedono “derubati” di qualcosa
(tipo la loro annosa protesta contro uno Stato cattivone che vuole
togliere per legge i grassi insaturi caratteristici di tutto il
junk-food che ingurgitano gli statunitensi) quanto un’onesta e
stupita perplessità di fronte all’evidente cambiamento in atto. Mi
interessa davvero comprendere in primo luogo quanto costa, per dirla
in termini informatici, l’upgrade che l’uomo sta facendo a questa
sorta di versione 2.0 del buon vecchio Homo Sapiens; voglio capire
appunto i costi con cui si conduce quest’operazione, i tempi,
voglio sapere chi la conduce e come è stato deciso che vada condotta
nei termini finora elencati; ma soprattutto mi interessa capire chi è
il committente dell’affare. Voglio capire se questa evoluzione è
così inderogabile o se ce nerano altre possibili; vorrei
comprendere, come dicevo prima, cui prodest, a chi giova. Non sono
sicuro che questa sia l’unica via e l’unica serie di risultati
ottenibili dall’uomo che ci possono far esclamare “ecco, stiamo
progredendo!”. E dunque cosa accade ai ragazzi, ai nuovi virgulti
dell’umana vite? Perché in classe non riesco a vedere altro che
effetti negativi
di questa mutazione? Sono solo sfortunato perché insegno in un ITI
di periferia? Il fatto di inviare al gruppo WhatsUp della classe i
compiti da svolgere a casa, non è una conquista nell’uso delle NT
con i giovani, o un ammodernamento della mia tecnica didattica: è
semplicemente l’unico modo che ho trovato per ricordare (un pelino
in più che facendoglielo scrivere nel diario) ai ragazzi di svolgere
quei due-tre esercizi durante il pomeriggio, sperando che li
svolgano. È un piccolo avvicinamento alla loro dinamica
comunicativa, ma non è un passo avanti né nella mia metodologia di
insegnamento né nella loro capacità di apprendimento, anzi mi
sembra semplicemente un utilizzo condiviso della NT preminente in
questo momento per svolgere un obiettivo che mi sono preposto. Questo
è insegnamento 2.0? Per questo serve aggiornare migliaia di
insegnanti - in genere non proprio giovanissimi - all’uso di un
micragnoso tablet o di una lavagna luminosa, entrambi strumenti che
gli alunni padroneggiano benissimo
già da soli?
Non basta invece, forse, mantenere un po’ più giovane la classe
insegnante? Comprare strumenti ovvi per qualsiasi ufficio (sedie,
scrivanie, computer) e rinnovarli di anno in anno? Riprenderemo più
avanti la discussione sugli insenganti, ora dedichiamoci ai nostri
alunni.
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